Di Sabrina Sabiu
L’archeologia industriale costituisce un interessantissimo e ricchissimo campo di indagine; questa disciplina abbraccia tutti i campi della produzione, che dalla prima rivoluzione industriale, hanno interessato l’attività umana. Fabbriche, tonnare, saline, ferrovie, concerie, cementifici o miniere rappresentano con le strutture, le macchine, gli insediamenti umani e le infrastrutture di servizio, quali strade, ponti ecc. il ricco complesso industriale dell’età moderna.
L’archeologia industriale, disciplina che sin dal secondo dopoguerra si è occupata di questa tipologia di patrimonio, è oggi meglio definita Storia del Patrimonio industriale, per sottolineare quel valore storico e culturale insito in questo bene al pari dei patrimoni archeologico, artistico o letterario del nostro paese e i manufatti industriali nei progetti di valorizzazione rappresentano il veicolo privilegiato per introdurre i fruitori nel complesso mondo della produzione industriale.
L’industria estrattiva in Sardegna è, fra le attività umane, quella che ha lasciato un segno indelebile nel territorio in cui ha operato, come nelle comunità che a quella intrapresa hanno partecipato. La conservazione delle testimonianze, il riutilizzo delle aree interessate da queste attività e la conservazione della memoria antropologica costituiscono oggi una sfida. Il declino dei bacini e dei siti minerari dismessi pone una lunga serie di questioni alle comunità locali, prime fra tutte quelle ambientale e della conservazione e riconversione delle strutture. Le nuove prospettive e le conoscenze maturate negli ultimi decenni in materia di archeologia industriale consentono di porre il problema in termini diversi: i siti minerari dismessi smettono di essere un’eredità ingombrante per essere trasformati in una nuova risorsa economia: l’economia della cultura, che pone in primo piano la riqualificazione degli spazi ormai deindustrializzati, urbani o rurali che siano, il ripristino del territorio e la conservazione del patrimonio architettonico, tecnico e della memoria.
Il paesaggio minerario costituisce una delle espressioni più compiute dell’industria moderna e la nuova coscienza del suo valore culturale ha determinato iniziative di valorizzazione di grande livello, tanto da inserirle nella Lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO ( World Heritage List, WHL), uno strumento fra i più importanti per dare massimo risalto al patrimonio da valorizzare. In Europa sono stati realizzati i migliori progetti di musealizzazione dei siti minerari dismessi, di grande interesse culturale e turistico, sopratutto in Francia e in Germania.
Questi paesi hanno realizzato la rivoluzione industriale con largo anticipo rispetto all’Italia ed alla Sardegna in particolare, ma l’Isola con le sue peculiarità geologiche, geomorfologiche e giacimentologiche ha offerto un campo di sperimentazione scientifica e tecnica senza eguali nel mondo, tanto da realizzare infrastrutture rimaste uniche ancora oggi. Lo stesso può dirsi per quanto riguarda l’aspetto dei movimenti operai e la presa di coscienza dei diritti dei lavoratori: la Sardegna anche in questo ambito fece scuola alla penisola perché fu teatro del primo sciopero nazionale, della nascita del mutualismo operaio da cui in sostanza scaturirono i primi sindacati.
Date queste premesse sorge spontanea la domanda : perché non si riesce a riqualificare e valorizzare questo grande patrimonio tecnico ed umano della grande storia mineraria sarda?
Il Parco Geominerario, strumento dalle grandi potenzialità, non ha ancora definito la politica d’intervento, nonostante sia stato costituito dalla fine degli anni ’90.
L’approccio strategico per la valorizzazione del patrimonio, sino ad ora portato avanti è insufficiente e non può essere solo quello di censimento e conservazione totale o parziale di edifici, macchine o apparati con il relativo problema di destinazione d’uso; occorre una visione più lungimirante che vede i patrimoni industriali, correttamente recuperati ed integrati nel contesto territoriale, come incubatori di un nuovo sviluppo locale, dando nuova competitività ad aree defunzionalizzate e marginalizzate.
Ripensando le destinazioni d’uso dei siti dismessi è possibile accrescere e diversificare i percorsi dello sviluppo economico, riferendosi non solo alla nascita di ecomusei e simili, ma a tutte le opportunità che i manufatti industriali possono offrire come contenitori. Il Parco GM ha pertanto il dovere, con le necessarie professionalità e competenze, di individuare obbiettivi e procedure d’intervento, sul piano delle politiche dei territori, di concerto con gli enti locali, nei quali il patrimonio industriale ricade e gli enti preposti al ripristino ambientale ed alle operazioni di bonifica dei siti industriali devono realizzare quanto prima questo prerequisito, determinante per i nuovi sviluppi economici. e’ ormai noto, infatti, che le attività industriali hanno causato un forte impatto sul territorio sia in suolo che in sottosuolo, compromettendo le biodiversità, l’identità e la salubrità dei luoghi, celando pericolose sofferenze e rischi ambientali diffusi, articolati in dismissioni e discariche, che hanno generato abbandono e degrado e nei quali deve incidere la bonifica ambientale, strumento di rivitalizzazione del paesaggio e incubatore di nuove e qualificanti professionalità.
Il Piano di bonifica delle aree minerarie dismesse del Sulcis Iglesiente Guspinese è nato per eliminare le criticità che mettono in pericolo i paesaggi e la salute di chi li abita. L’ inattuazione o attuazione parziale di Piano ipoteca qualsiasi progetto di futuro per le aree interessate con le implicazioni sanitarie, sociali, economiche, culturali ed ambientali connesse.
Un atto politico sostanziale per la messa in opera di buoni progetti di riqualificazione dei siti e delle aree dismessi, ai quali devono essere connesse buone pratiche e buone competenze. Questi sono nodi cruciali in seno al Parco GM, che da troppo tempo ha un’amministrazione monocratica di tipo commissariale, che impedisce una seria programmazione di interventi nei territori concertata con gli enti locali. La stessa assenza di concertazione viene registrata con il Ministero dell’Ambiente in merito ad una buona dotazione di competenze tecnico scientifiche, perché il Parco sia anche un volano per la ricerca scientifica e per l’alta formazione nei campi di interesse tecnico, storico ambientale, antropologico culturale ed economico gestionale.