di Paolo Maninchedda
Il Consiglio di Stato ha dato ragione alla competenza e caparbietà del nostro avvocato Gianni Benevole che ha voluto fermamente il ricorso dinanzi al Consiglio di Stato, perché convinto dell’errata applicazione della legge da parte degli uffici regionali. Gianni non è nuovo a queste battaglie. Ne ha vinte tante, sul piano del diritto del lavoro, contro i gruppi della Grande distribuzione. È una bella persona, fatta di pulizia, rigore, competenza e libertà.
Abbiamo un consigliere in più. Abbiamo un gruppo consiliare di sei, ora. Ci serve un cambio di passo: sull’Agenzia delle Entrate, sul fisco, sulla sovranità (riforme e norme di attuazione), sulla fino ad oggi inesistente politica del mare, sulla qualità dei servizi sanitari, sui mercati regolati (acqua, energia, rifiuti), dobbiamo farci sentire.
Ciò che dobbiamo far vedere è la nostra diversità.
Si voglia o non si voglia, piaccia o non piaccia a chi fa su tutto una questione di dimensioni, noi siamo una minoranza, estranea a salotti e genealogie di potere, che vuole costruire uno Stato alle condizioni possibili e legali. Non abbiamo paura del potere, lo gestiamo quando possibile, ma con i conti correnti privati e la coscienza in ordine.
Non ci piacciono i colossi. Non ci troverete come alleati del Qatar, dell’Eni, della Saras ecc. Parliamo con tutti, ma lo sviluppismo giganteggiante non ci convince. Le grandi dimensioni, da sempre, giocano alla guerra e a noi la guerra non piace.
Non ci piacciono le banchette da quattro soldi che favoriscono gli amici e gli amichetti grandi e si pavoneggiano della propria intransigenza con i piccoli poveracci.
Non ci piacciono, perché intimamente ingiusti, gli apparati dello Stato italiano, sia quelli amministrativi, che non funzionano, che quelli militari, che non esistono ma consumano territorio (le forze armate servono, ma devono essere una cosa seria), che quelli formativi (la scuola e l’università sono in balia delle passioni ideologiche dei consulenti dei ministri).
Lo Stato italiano è un palazzo barocco, ricco di riccioli all’esterno e di fogne rotte all’interno.
Ci piace la nostra patria che è la Sardegna. Ci piace non perché è ricca o bella, ma perché è nostra e noi qui vogliamo crescere liberi.
Ci piacciono gli alberi, la terra, l’acqua, il mare. Non piacciono a tutti. Molti amano di più le macchine.
Ci piacciono i sardi capaci di produrre ricchezza.
Ci piace chi educa all’indipendenza morale, psicologica e politica. Quando un ragazzo o una ragazza cominciano a dire ‘io’ consapevolmente, è già successo qualcosa di grande. Quando i sardi autonomi di testa e di cuore cominceranno a dire ‘noi’ consapevolmente, sarà un fatto epocale.
Ci piace chi lavora e ci piace chi crea condizioni perché chi non lavora possa farlo.
Ci piacciono gli imprenditori, anche quelli titolari di una microimpresa.
Ci piace chi non dice sempre e solo di no, chi non dà sempre e solo la colpa agli altri, chi accetta la sua croce e la porta con dignità, chi si fa carico del dovere di occuparsi almeno di un’altra persona oltre se stesso.
Ci piace conoscere senza pregiudizi. Noi siamo curiosi della verità, non manipoliamo il reale e non consideriamo il pensiero superiore alla realtà. Siamo razionali ma non ideologici.
Siamo così: pochi ma non minimi, intelligenti ma non superbi, irrecuperabilmente liberi. E si deve vedere.