Il 9 novembre 1989 cadeva il muro di Berlino. Finiva una dittatura comunista (che tanta parte aveva avuto nel terrorismo rosso italiano), ma finiva anche la guerra fredda, cioè la giustificazione di ogni cosa in nome dell’equilibrio prodotto dalla Seconda Guerra mondiale.
A varcare il confine festanti furono molti giovani; a varcarlo commossi gli anziani; a superarlo perplessi quelli di mezza età.
La domanda sorge spontanea: quando toccherà anche ai sardi di vivere un evento storico che riguardi direttamente la loro libertà, la loro responsabilità, il loro sviluppo?
Quando accadrà che disporremo del potere sui noi stessi che ci compete? Quando accadrà che potremo regolare il fisco in modo proporzionato al nostro sistema economico?
Quando accadrà che potremo regolare il mercato dei trasporti non dipendendo dalle scelte dell’Italia per favorire i propri porti e aeroporti? Quando accadrà che potremo formulare il nostro canone del sapere e non essere obbligati a nutrirci di quello confuso distribuito a giumelle nelle scuole italiane?
Quando accadrà che potremo organizzare i servizi secondo i parametri di efficienza propri della realtà sarda (distribuzione della popolazione nel territorio, caratteristiche del territorio, stato della rete dei servizi ecc.) e non ribaltati sulla Sardegna dai costi standard milanesi?
Quando accadrà che potremo dirci uno Stato senza che alcuno si spaventi, che gridi al separatismo?
Quando accadrà che anche in Italia si riuscirà a capire che cosa sono realmente gli Stati Uniti d’America, una confederazione di Stati che anche in occasione delle ultime elezioni ha dimostrato che non è il centralismo di Stato, o il Papismo statale all’italiana, l’unica forma possibile di esercizio ordinato del potere?
Quando accadrà che potremo regolare il nostro mercato in modo da non renderlo, quale è oggi, lo scaffale di grandi gruppi di distribuzione che non fanno solo il prezzo dei prodotti, decidono anche il futuro gramo dei lavoratori (bisognerebbe pubblicare le sentenze del giudice del lavoro sui grandi gruppi di distribuzione, italiani e sardi, oppure sentire raccontare le storie folli di tirocini gratuiti divenuti forme di apprendimento della dipendenza intesa come schiavitù), la ricchezza e lo sviluppo di produttori e consumatori?
Una cosa è certa: accadrà, non foss’altro perché è così innaturale che ogni cosa che riguardi un’isola così distante dalla terraferma e così grande sia decisa fuori da essa, che prima o poi per ragioni di efficienza o di sostenibilità istituzionale le cose cambiarenno.
Una cosa è certa: la forma Regione non è il nostro orizzonte. Bisogna superarla, è vecchia (come sta dimostrando l’assoluta inadeguatezza dell’architettura istituzionale attuale rispetto alla pandemia).
Come i Sardi possono prepararsi a vivere l’evento che li renderà responsabili di se stessi? In vari modi, ma uno va escluso: su connotu.
Molti pensano che la salvezza sia nel primitivismo, nel recupero di tutto ciò che è arcaico, arretrato, antico, perché, si dice, ciò che è antico è autentico e nutre la nostra identità. È la logica che vuole che si sia sardi se si beve in cerchio tutti dallo stesso bicchiere.
Altri pensano che basti ripetere ciò che già è stato detto perché le cose cambino in meglio. Nelle televisioni locali si sente ripetere Lilliu senza che venga mai citato, e così da quaranta’anni ripetiamo Lilliu senza accorgerci che Lilliu ebbe l’ambizione di dire qualcosa che nessuno aveva detto prima di lui.
Altri infine pensano che la cosa migliore sia rimanere immobili, non far nulla, perché si rischia meno e lottare per mangiare meglio quello che c’è. È il disegno di tanti partiti. È l’ambizione di larga parte della Massoneria sarda: apparecchiare, mangiare, celebrare il nulla, vestire a festa l’agonia.
Tutto questo, almeno tutto questo, va escluso per far cadere il nostro muro.
Far cadere il nostro muro è prima di tutto accettare la responsabilità della storia, accettarla in campo aperto non fintamente protetti dalle mastruche.
Il nostro muro cade quante più cose sappiamo, quanta più libertà rischiamo, quanto meglio organizziamo i nostri poteri, quanto più coesi sono i nostri vincoli sociali, quanto più isolati sono gli ignoranti e i prepotenti, quanto più liberi e regolati sono gli scambi, quanto più giusto e controllato è il prelievo fiscale, quanto meno arbitraria e affidata a ignoranti prepotenti è la giustizia, quanto più curiosa, attenta, amorevole e universalmente aperta è la nostra cultura, la nostra scuola, la nostra università.
Il nostro muro cadrà più in fretta quanti più liberi vivranno da liberi.