Religioni, Sardegna e Mondo: cosa non fare, chi non imitare

COCCO Enrico - cartello lombardiaUna riflessione socioculturale di Enrico Cocco

Qui a Milano, città in cui risiedo, e generalmente in tutta la Lombardia vi è un notevole orgoglio rispetto alla rinomata qualità della sanità pubblica. A questo, poi, si somma il diffuso compiacimento circa le virtuose capacità che gli amministratori locali avrebbero nella sua gestione. Vero o falso che sia, l’ambito sanitario è stato recentemente luogo di un episodio che reputo poco edificante.

Pochi giorni fa la giunta a guida Lega Nord ha inviato in tutti gli ospedali della regione dei cartelli recanti il divieto d’ingresso nelle strutture sanitarie a persone con il volto coperto. Per esplicitare meglio il messaggio, i manifesti erano corredati da tre immagini barrate di rosso: un casco integrale, un passamontagna ed il niqab, il velo nero integrale femminile tipico di alcune correnti fondamentaliste islamiche. Ad ulteriore scrupolo, ove mai qualcuno ignorasse la convenzione sul traffico stradale, il testo appariva tradotto anche in lingua inglese, francese ed araba: in caso, immagino, qualche distratto motociclista yemenita o un incursore della marina tunisina non avesse piena contezza delle regole nazionali.

La polemica qui in Lombardia è stata immediata ma neanche particolarmente accesa: a nulla è valso ricordare l’esistenza nell’ordinamento italiano del divieto di celare i tratti del viso in un luogo pubblico, tanto meno la presa di distanza di Matteo Salvini davanti all’iniziativa dell’ingombrante governatore Roberto Maroni.

Perché, è evidente, la pensata va contro tutto il mondo islamico, fondamentalista o meno, accusato di invasione e di scarso adeguamento alle regole locali. Questa è stata la massima risposta politica che la giunta è stata in grado di elaborale in un indiscutibile momento di pressione e tensione sul fronte dell’immigrazione: un becero solleticamento dei più biechi istinti razzisti che tanto pulsano in molti lombardi, ammantato di un rinnovato misero nazionalismo italiano di un partito che della peculiarità etnica e culturale aveva fatto il proprio dna.

Ma non riteniamoci particolarmente diversi, in Sardegna. Qualche mese fa, sulla pagina Facebook del Cagliari Calcio, veniva pubblicizzata una lodevolissima iniziativa: l’asta delle magliette di alcuni giocatori della squadra, il cui ricavato sarebbe andato in beneficenza ad alcune associazioni impegnate in quei giorni nella difficile gestione del notevole flusso migratorio che incombeva sulle coste italiane. Apriti cielo: un’ondata di commenti negativi aveva travolto la pagina, con la grave accusa rivolta alla Società di non pensare “prima ai sardi”, evidentemente colpiti dalla crisi economica e quindi “naturalmente” beneficiari con status di precedenza di qualsiasi iniziativa caritatevole svoltasi in terra isolana.

In tempi di particolare sintesi nel pensiero politico (basta un semplice “vaffanculo”), di discredito delle istituzioni sovranazionali e di frequente superficialità nella disamina, c’è diffuso nell’aria l’olezzo di uno sguaiato rimestamento di contenuti e parole d’ordine che a definirle immondezza ideologica del Novecento si fa torto al pattume da cui almeno qualcosa di utile si può sempre recuperare.

Se c’è una qualità che l’indipendentismo sardo contemporaneo è riuscito a scrollarsi di dosso, è stata quella di rigettare il nazionalismo e la presunta purezza primigenia di una sardità incontaminata come modello virtuoso: ci si è aperti al mondo, ci si loda della contaminazione e delle tante identità che rendono la Sardegna una terra meravigliosa e sorprendente.

Ed a maggior ragione nei tempi difficili che stiamo vivendo, soprattutto nei rapporti con culture importanti del mondo, di cui parte dei confini corre a sud di Cagliari, dobbiamo rifuggire dalla costruzione di ulteriori recinti etnici frutto di paura e ignoranza.

Dobbiamo capire in che modo rapportarci con i nostri vicini del Mediterraneo e soprattutto studiare e conoscere il mondo che ci circonda e che inevitabilmente viviamo, possibilmente ignorando e screditando presunti esperti per cui “musulmano”, “arabo” e “islamico” sono sinonimi intercambiabili buoni per ogni occasione e circostanza.

Ed è dovere di un partito indipendentista maturo mostrare al suo interno intelligenza e capacità superiore in analisi e proposta rispetto alla becera propaganda dei presunti fenomeni della politica italiana, ancor più oggi in cui siamo costretti a vedere e subire le titubanze e le capriole di un governo italiano inadeguato ed incapace, nonché delle presunte alternative buone a rimettere quotidianamente solo rabbia ed incompetenza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *