E se fosse vero che si riesce a parlarsi?

Giovedì, al primo incontro dei soggetti politici, attivi e latenti, che stanno all’opposizione del governo Solinas, la congiuntura astrale è stata ottima.
Marte non ha prevalso su Venere.
C’era un che di rituale che andava però rispettato: tutti hanno soddisfatto l’esigenza della dichiarazione di buona e robusta costituzione. Sono intervenute più di venti persone e nonostante ci sia sempre chi rumoreggia, il brusio è stato veramente minimo e intermittente.

Sul piano dell’orizzonte politico, mi pare che il risultato maggiore sia la diffusa consapevolezza che la strada della valorizzazione dei terreni che dividono non vuole essere percorsa da nessuno. È un punto molto importante. Significa che la naturale competizione interna non userà le bandiere dell’ideologia nel contrasto delel ambizioni. È stato significativo che il termine “nazione sarda” sia stato citato dieci volte e che sia stato ufficialemnte sdoganato per la discussione.

Il secondo aspetto positivo è stata la volontà di aggredire gli errori del dirigismo del passato e di non ripeterli.
In sostanza, ieri si è cominciato a dire che l’elezione diretta del presidente non può trasformare la legislatura nell’esercizio attuativo della sola volontà del presidente.
La strada della mediazione passa per la costruzione in campagna elettorale di un programma di dettaglio (fino alla definizione dei più importanti disegni di legge di regolazione, di riforma e di sviluppo) che vincoli tutti, presidente e maggioranza, a un percorso condiviso.

Il terzo aspetto è che, a fronte di grande lucidità sui temi della politica e dell’economia globali, abbiamo una grande difficoltà ad avere un pensiero sistematico sulla microscala sarda. Noi indipendentisti democratici e legali (lo dico per i marescialli della Guardia di Finanza) abbiamo sempre detto che la questione sarda non è solo una questione di ritardo di sviluppo e direi, oggi, di catastrofe culturale, educativa e demografica. Abbiamo sempre detto che la questione sarda è una questione di poteri e di cultura, è una questione di politica. Ma questo tema non riesce a iscriversi all’ordine del giorno dei partiti, per cui i ragionamenti hanno sempre uno scalino di analisi: accuratissima sullo scenario universale, sommaria su quello locale. Dobbiamo lavorarci.

Infine, adesso bisogna trovare un metodo di lavoro che tenga il campo aperto, almeno per un po’, e cominci a elaborare più di un dossier di contenuto.
Diversi colleghi dell’università e diversi dirigenti regionali, sopravvissuti alla persecuzione di Solinas, che ha fatto impallidire quelle di Nerone e Diocleziano messe insieme, mi hanno dato disponibilità a farli. Troveremo il modo.

Intanto, però, portiamo a casa un risultato: l’odio personale è ancora presente tra noi, ma ieri l’antidoto ha fatto effetto. Beviamoci sopra.

Paolo Maninchedda

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