
di Paolo Maninchedda
Il fisco italiano, uguale da Aosta a Pantelleria, è sommamente ingiusto e anche la progressività dell’imposta applicata in contesti di accumulazione non paritari è ingiusta.
Ma dire che la pressione fiscale patita dalla Sardegna è doppiamente ingiusta (troppo alta e troppo indifferente al differenziale di ricchezza accumulata nelle diverse regioni della Repubblica Italiana), significa porre una questione di sovranità, giacché il fisco, cioè le tasse, sono la forma più impattante di intervento e di potere dello Stato. Qui sta il mio dispiacere con CNA, con Confindustria, con i sindacati e con tanti altri: lavoro, ricchezza e sovranità sono legati, invece tutte queste sigle, figlie dell’educazione italiana, arrivano con l’analisi sempre fino ad un certo punto e poi scappano.
Se si vuole un fisco più giusto si deve volere un potere più giusto.
Perché ci si lamenta del fisco e non si lotta per un potere sardo, moderno, agile, non fondato sul sospetto, orientato per la libertà, la ricchezza e il lavoro?
In altre regioni d’Europa, gli imprenditori grandi e piccoli hanno fondato gli Stati. Qui in Sardegna si fanno fare le diagnosi dagli altri. Per fortuna, non tutti.
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